Le “piccole corti” e le tradizioni aristocratiche dei centri storici minori della Sicilia.

Il recupero e la ristrutturazione architettonica di unità immobiliari inserite nello scenario dei centri storici minori del Val di Noto (Palazzolo Acreide) non sono finalizzati unicamente alla rimodulazione dello spazio urbano o a profittevoli opportunità d’investimento, ma si giustificano come progetto più complessivo di valorizzazione e rilancio dei beni culturali del territorio, nella prospettiva dello sviluppo turistico “integrato” della Sicilia.

L’idea di fondo che sorregge il gruppo promotore è che i comuni minori, al pari delle più grandi città dell’isola, siano un autentico “scrigno” di tesori artistici, monumentali, paesaggistici che si sono sedimentati nel tempo grazie all’azione “civilizzatrice” delle aristocrazie locali, a cui dobbiamo il merito di avere dato vita a un “lungo Rinascimento” (dal XV al XVIII secolo) grazie al sistema delle «piccole corti»

Questa breve nota storiografica intende sottolineare la novità scientifica di questa linea interpretativa che colloca i centri minori in una visione unitaria della civiltà europea delle “buone maniere” e delle committenze artistiche nobiliari in un contesto non più “arretrato” o “separato”, ma come segmenti vitali di un’unica “rete” europea delle élites nobiliari.

Riscoprire le piccole corti siciliane significa, dunque, puntare su uno sviluppo turistico di qualità che partendo da un singolo punto/paese stabilisce relazioni e collegamenti virtuosi con il più ampio reticolo delle città d’arte siciliane, sapientemente costruito da un’aristocrazia “illuminata” e depositaria delle raffinate e colte tradizioni di un’unica civiltà europea.

Le “piccole corti”, a cui appartiene a buon titolo Palazzolo Acreide degli Alagona, Santapau e Ruffo, rappresentano uno straordinario ed inedito scenario che ci consente di leggere in un modo nuovo ed unitario la vasta e complessa circolazione di uomini, opere d’arte e culture da riscoprire e reinventare per rilanciare lo sviluppo locale dei territori.

L’approccio scientifico innovativo che sorregge il progetto di valorizzazione turistica delle «piccole corti» deriva dalle più recenti acquisizioni della storiografia medievale e moderna volte a sottolineare come nel lungo periodo compreso tra XV e XVIII secolo i ceti aristocratici isolani, peraltro accresciuti dalla “nobilitazione” di patrizi, togati e mercanti, abbiano acquisiti modelli di comportamento e stili di vita pubblica e privata del tutto assimilabili a quelli delle altre nobiltà europee.

Questa peculiare civiltà nobiliare non solo non è valutabile semplicisticamente come espressione esteriore e deteriore di lusso, vanità e spreco “spagnolesco”, ma è uno dei caratteri fondanti della società occidentale e dei suoi originali percorsi di socializzazione culturale.

In Sicilia già nel Quattrocento si definiscono e strutturano i grandi e piccoli «stati feudali» fondati dalla monarchia aragonese e lo stile “cavalleresco” viene assunto come modello di vita dalle oligarchie cittadine.

Tali processi si riflettono nel mondo delle piccole corti laiche ed ecclesiastiche, dei palazzi, delle ville, delle accademie, delle confraternite, delle abbazie e degli ordini religiosi e cavallereschi, anche se dell’esistenza e della vita di questi aggregati politici e sociali conosciamo solo poche notizie sparse, mancando ancora uno studio organico.

Eppure le “storie” di alcuni lignaggi come i Ventimiglia di Geraci e Castelbuono, i Branciforti di Mazzarino, i Santapau di Licodia Eubea e Palazzolo, i Moncada di Paternò e Caltanissetta, gli Enriquez Cabrera di Modica, gli Statella di Ispica, gli Aragona di Gela e Avola, i Ruffo ancora di Palazzolo, solo per citare alcuni esempi di un più vasto sistema di potere, sono i protagonisti di una straordinaria vicenda di fondazioni e ricostruzioni urbanistiche, di committenze artistiche, di collezioni pregiate di arredi, di donazioni agli enti ecclesiastici che hanno plasmato nei secoli i quadri ambientali dell’isola.

Ad un semplice censimento, inaspettatamente numerosi appaiono i luoghi feudali in cui il signore pone e mantiene la sua casa, la sua famiglia e la sua residenza, realizzando una presenza che si sostanzia in modi di vita aulici, e nella formazione e formalizzazione di una rete che gli raccoglie attorno feudatari minori e gentiluomini, giuristi e amministratori, tecnici, letterati e artisti.

Soprattutto tra Cinquecento e Seicento tutta l’isola, tra nuove fondazioni (circa un centinaio) e ristrutturazioni di città, è un grande cantiere, e cambia il suo volto urbanistico e architettonico, lo stile delle chiese, dei conventi, dei palazzi e degli edifici pubblici in ragione della nuova concezione di decoro e prestigio accolta e rielaborata dai ceti dirigenti.

Un censimento del 1650 segnala che più della metà dell’intero patrimonio edilizio ecclesiastico esistente era stato realizzato – con il pieno appoggio e con il finanziamento della nobiltà e del patriziato – nel secolo successivo al Concilio di Trento: si trattava di 591 nuovi conventi e monasteri, in gran parte monumentali e riccamente addobbati.

Un censimento simile per le dimore nobiliari e per i palazzi di rappresentanza delle istituzioni governative e cittadine non darebbe probabilmente esiti molto diversi.

Nelle sue varie articolazioni, la nobiltà siciliana titolare di feudi popolati e non, o ascritta alle mastre nobili cittadine, comprendeva tra 500 e 1. 000 famiglie nel Quattrocento, e un numero variabile tra 1.000 e 2.000 nel corso dei successivi due secoli.

Questi pochi uomini detenevano un potere, economico e politico enorme, e nemmeno il governo di un sovrano potente come quello spagnolo poteva sottovalutare la necessita di mantenere con loro un contatto continuo e vigilante, di soddisfare in parte le loro richieste, di mediare i loro conflitti istituzionali, politici e personali, di valutarne le aspirazioni di ricchezza, prestigio ed onore.

Il loro ristretto numero concorre a determinare i caratteri e i modi della lotta politica, come delle relazioni d’affari o degli accordi matrimoniali, delle espressioni della pietà religiosa o dell’attività culturale, delle reti di patronage e di clientela, che convergono verso una strutturazione di tipo cortigiano di cui tutti si impossessano e che tutti praticano.

Questo piccolo ma variegato mondo, percorso da fronti interni di conflittualità personali, familiari, di fazioni, politiche, si presenta da questo punto di vista fortemente coeso e unitario.

Dagli inventari, testamenti, contratti dotali e dalle descrizione delle cerimonie e delle feste, dei tornei e delle giostre, sembra emergere una notevole ostentazione di ricchezza in gioielli, ori, argenti, abiti lussuosi, arazzi, suppellettili; la lettura, la conversazione, la danza, la musica, il teatro, appaiono passioni condivise, insieme alla caccia, ai cavalli, alle armi.

Il mecenatismo nei confronti di poeti letterati, pittori, scultori è comune, molti sono i nobili che compongono, verseggiano, recitano, alcuni si dedicano alle scienze, all’architettura, all’astrologia, alla trattatistica di vario genere, all’antiquaria.

Il collegamento col sacro è ricercato e praticato in vari modi, nel tentativo di estendere alla stessa casata un’aura di sacralizzazione.

I ventotto istituti dei gesuiti, tra collegi e case professe, che con intenso ritmo si spargono in soli cento anni in tutti i maggiori centri demaniali e baronali (saranno trentotto a metà Settecento), raccolgono nelle loro mura diverse generazioni di nobili siciliani, trasferendo loro una cultura, una sensibilità, uno stile di esistenza che è uguale in tutta l’Europa cattolica.

E lo stesso fanno gli altri numerosi ordini nati con la controriforma, i teatini soprattutto, o le rinnovantesi congregazioni di francescani, domenicani, benedettini.

Questo milieuaristocratico diffuso nelle “piccole corti” si evidenzia nelle architetture nobiliari dei centri minori, come dimostrano l’esistenza dei grandi cortili, delle ampie scalinate, dei portici, l’ampiezza delle sale, il valore e la raffinatezza dei quadri, degli affreschi, delle decorazioni, l’abbondanza e lo splendore degli arredi, dei mobili, delle argenterie e dei servizi da tavola o da camera.

La funzione sociale, non privata o collegata al gusto individuale, di questi ‘oggetti’, il loro carattere di «capitale simbolico oggettivato», è dimostrato dal fatto che essi vengono facilmente e continuamente scambiati come comuni merci nelle transazioni dotali, nei testamenti, nelle divisioni dei beni, come doni e nel ‘pagamento’ dì favori.

Anche i contenuti ‘immateriali’ circolano nel palazzo, la cultura, l’arte, la scienza, la filosofia, sono condivisibili e trasferibili da luogo a luogo, da corte a corte, sono prodotti di medio-alta, a volte eccellente, qualità.

Gli ordinamenti, i regolamenti, i capitoli che riguardano il governo locale, la sanità, l’edilizia, la distribuzione delle acque sono elaborati da giurisperiti, amministratori, protomedici, architetti di importanza e fama non locale; le idee sull’arte, sull’architettura, sulla forma della città circolano con grande rapidità e sono applicate con risultati non banali; la cultura filosofica e scientifica, che appare quella meno originale e innovativa, ha tuttavia, accanto a casi di eccellenza, un seguito abbastanza ampio di personalità capaci di accedere ai livelli medio-alti dell’esperienza europea.

Le architetture civili e religiose delle «piccole corti» imprimono il loro marchio sulla vita cittadina, dettano i tempi ed i modi delle cerimonie e delle feste pubbliche, rendono splendide quelle sacre, iniziano cittadini e popolo agli spettacoli delle giostre e dei tornei, al teatro, alla musica, stimolano l’imitazione dei ceti abbienti nel decoro esterno ed interno delle loro dimore, diffondono l’amore e il gusto per la pittura, la lettura, la poesia, rafforzano l’associazionismo delle confraternite, delle opere pie e delle accademie a cui membri della famiglia signorile si associano fornendo protezione e sostegno finanziario.

Prof. Giuseppe Barone 
(Ordinario di Storia Contemporanea – Università di Catania)

 

Riferimenti bibliografici

Per il quadro internazionale cfr. R.G. Asch-M. Birke, Princes, Patronage and the Nobility: the Court at the Beginning of the Modern Age 1450-1650 , Oxford 1991. In particolare per l’area iberica v. J. Martinez Milan, La Corte de Carlos V, Madrid 2000, 5 voll.

Per gli Stati italiani si consideri la più che ventennale attività del Centro Studi Europa delle Corti e, per la storiografia: C. Mozzarelli, Principe e corte nella storiografia del Novecento, in C. Mozzarelli-G. Olmi, La corte nella cultura e nella storiografia: immagini e posizioni tra Otto e Novecento, Roma 1983.

Inoltre v. pure C. Mozzarelli-P. Schiera (a cura di), Patriziati e aristocrazie nobiliari. Ceti dominanti e organizzazione del potere nell’Italia centro-settentrionale dal XVI al XVIII secolo, Trento 1978; M.A. Visceglia (a cura di), Signori, patrizi, cavalieri nell’età moderna, Roma-Bari 1992: si tratta degli atti di due importanti Convegni che hanno consentito di fare il punto sullo stato degli studi, stimolando una consistente ripresa di tale tematica per tutti gli antichi Stati italiani.

Per quanto riguarda la Sicilia v. A. Morreale, Famiglie feudali nell’età moderna, Palermo 1995; M.C. Calabrese, I Paternò di Raddusa. Patrimonio, lignaggio, matrimoni (secoli XVI-XVIII), Catania 1998; Idem, Nobiltà, mecenatismo e collezionismo a Messina nel XVII secolo, Catania 2000; G. Barone, L’oro di Busacca, Palermo 1998; D. Ligresti, Sicilia aperta. Mobilità di uomini e idee nella Sicilia spagnola (secoli XV-XVII) , Catania 2005; L. Scalisi, La Sicilia degli Heroi. Storie di arte e di potere tra Sicilia e Spagna, Catania 2009.